IL CONCORSO MURALES
“Open to meraviglia” è la campagna realizzata nel 2023 dal Ministero del Turismo ed Enit con il contributo del Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio per promuovere le meraviglie d’Italia. La campagna ha come testimonial la Venere di Sandro Botticelli che, diventata virtual influencer, viaggerà lungo lo stivale raccontando ciò che rende così unico il patrimonio dell’Italia: i paesaggi, le mete iconiche delle città d’arte, i piccoli borghi, le tipicità enogastronomiche… Tale campagna – costata mezzo milione di Euro – è stata oggetto di un alto numero di critiche non solo sui principali social network: tra gaffe, idee grottesche e bizzarre traduzioni è difficile riuscire ad accettare la Venere del Botticelli intenta a mangiare una pizza o a scattarsi un selfie davanti a piazza San Marco. L’eco di disapprovazione si è esteso anche allo scenario globale comprendendo quotidiani e tabloid internazionali. L’ondata di polemiche e critiche continua ad affondare l’intento promozionale comunicato da Armando Testa, la famosa agenzia firmataria del progetto, e persino la Corte dei Conti ha aperto un fascicolo per indagare su di un possibile danno all’Erario pubblico. La campagna ad oggi sembra un vero flop, definita totalmente inefficace e guidata dal semplice e abusato principio del “purché se ne parli” all’interno di un mercato maturo, consapevole e sensibile a specifiche tematiche socioculturali. Ma noi siamo davvero consapevoli e sensibili a queste specifiche tematiche socio-culturali? Nel mondo, dal 2014 a oggi, sono scomparsi più di 55mila migranti. Nel mar Mediterraneo sono più di 1.500 i morti solo lo scorso anno e nei primi cinque mesi del 2023, gli sbarchi di migranti in Italia sono stati due volte e mezzo quelli nello stesso periodo del 2022. Sono dati impressionanti dietro i quali si celano corpi e storie di decine di migliaia di persone che hanno trovato la morte in mare o sulla terraferma, lungo le numerose rotte migratorie del mondo. Ciò che avviene nel Mediterraneo è solo l’ultimo tratto di un lungo viaggio di migrazione che attraversa campi di prigionia, guerre, torture e violenze. Da anni l’Europa ha intrapreso la linea politica di evitare che i migranti partano dalle coste africane così da limitare i flussi migratori verso il vecchio continente, un accordo del 2017 definito “disumano” dalle Nazioni Unite. Il risultato è stato quello di trasformare le coste africane in un atroce trappola mortale per i migranti: ogni giorno migliaia di uomini, donne e bambini vengono violentati, torturati fisicamente e annientati psicologicamente nei campi di detenzione dove i migranti rimangono per tempi sempre più lunghi, andando inevitabilmente incontro alla loro fine. L’Italia, come gli altri Paesi europei, finanzia questo sistema, addestrando anche le motovedette della guardia costiera libica; il tutto per evitare di vedere il problema in televisione dove gli sbarchi finiscono per fare notizia. Insomma, non importa la sofferenza delle persone, ma si fa di tutto “purché non se ne parli”. Ed eccoci qui, oggi, davanti al nostro murales. Davanti a dei migranti anonimi, senza volto che lottano contro l’impeto del mare che cerca di sopraffarli. Dei migranti, che di fronte a quella situazione che li costringe a sfidare la morte, possono fare affidamento solo su una fragile barca e su loro stessi. Ma che fine ha fatto la Venere di “Open to meraviglia”? Eccola lì, in mezzo al mare in tempesta, sulla barca, con la sua T-shirt che ci invita a scoprire davvero il nostro Paese. Scoprire anche questa realtà che percepiamo così lontana ma che poi ci è davvero molto vicina. In fondo i migranti sono uomini e donne; mamme, papà o bambini come noi, che sognano semplicemente una vita vivibile. La rabbia del mare in tempesta rappresenta l’ingiustizia: è la rabbia di chi questi migranti non li vuol vedere arrivare nel proprio Paese ma anche la rabbia di chi invece non accetta che non si trovi una soluzione per proteggerli e difendere i diritti umani. Purtroppo, a fare le spese della bufera sono sempre e solo i migranti stessi, che si trovano in balia delle onde, dimenticati nel mare come oggetti di un dibattito e non più come esseri umani. In lontananza si scorge un faro: il punto di riferimento per i naviganti. Non è un faro qualsiasi, ma la Torre Lampugnani di Dairago, perché è proprio da ognuno di noi che deve arrivare la luce per poter guidare la società fuori da questa burrasca. È a partire dal nostro piccolo, dai gesti quotidiani verso il prossimo, che abbiamo la possibilità di accendere una speranza in questo mare in tempesta e portare davvero un po’ di meraviglia nel nostro Paese.

Sono una mamma che ogni mattina porta la propria figlia a scuola, in questa scuola. Chiara ha nove anni, frequenta la quarta elementare e la richiesta di avere un cellulare comincia ad essere all’ordine del giorno, di ogni giorno. La richiesta non mi lascia indifferente e mi offre quotidiane opportunità di riflessione, così, quando abbiamo avuto la fortuna di utilizzare proprio il muro davanti l’ingresso della scuola elementare, la scelta – anzi la responsabilità di lanciare un messaggio – è stata più che naturale, quasi un dovere. L’opportunità di offrire un messaggio a Chiara e ai bambini che come Chiara frequentano questa scuola, e ai loro genitori che potranno, speriamo, cogliere l’occasione del passaggio per riflettere a loro volta coi propri figli. Il messaggio non è una condanna tout court verso le attuali tecnologie di comunicazione perché ne siamo tutti fruitori – ne abbiamo apprezzato i vantaggi e, col tempo e l’esperienza, scoperto le potenzialità – ma desideriamo si rifletta di più sull’utilizzo consapevole di questi strumenti e che questa riflessione magari parta dalle considerazioni di quanto di bello stia andando perduto, quanto di unico abbiamo vissuto noi autori, ora genitori, ora adulti, nati quando il cellulare era solo il veicolo per trasportare i detenuti o al più un aggettivo d’uso in biologia. Si tratta di un dipinto a pennello, con pitture acriliche su foglio di compensato. La scena si divide in due parti: nella parte sinistra un ragazzo dei giorni nostri si mostra chino sul display del proprio dispositivo, spalle al muro, con la postura canonica così comune oggigiorno, assorto nella virtualità di un mondo lontano a portata di dito, il collo volutamente e vistosamente deforme, allegoria di una evoluzione darwiniana che non auguriamo a nessuno – men che meno ai figli dei nostri figli – su uno sfondo viola, cupo, a definirne chiusura, come rischio ultimo; di spalle, estraniato, dissociato da quanto accade nella parte destra del dipinto, dove con una luce più soave e brillante raffiguriamo una foto, un gioco semplice tra amiche, l’ombreggiatura a ispirare un “al di fuori”, una foto di quando noi autori attraversavamo le medesime fasi della vita degli alunni di questa scuola, quando il gioco era all’aria aperta, il tempo libero speso con gli amici, quando una foto era il prezioso ricordo di un affetto lontano, di un momento speciale, quando al ritorno dalle vacanze si viveva il mistero dei risultati del rullino, quando si scattava con coscienza, trentasei pose, e nella maggior parte dei casi dalla parte cieca dell’obiettivo. In basso a destra, a caratteri volutamente ben leggibili, una frase su di una lavagna, una citazione anonima scovata in rete proprio tramite un moderno telefonino, che ci rammenti quando non c’era il cellulare ed attraverso questo ricordo passi la speranza di un domani con uomini e donne certamente ancora più connessi, ma che sappiano all’occorrenza come si fa e cosa c’è quando si stacca la spina. Infine, la scelta del giallo è pura e semplice scelta cromatica a bilanciamento del complementare viola che prepondera il lato opposto. Con l’auspicio che mantenendo il ricordo, resti la speranza.
TITOLO: Gli occhi delle donne
Nessun colore da un mondo attanagliato dalla solitudine, dall’individualismo e dall’apatia, dove anche l’aria sembra tossica e irrespirabile. Solo un grigio desolante e un insormontabile filo spinato che imprigiona una donna, seduta sulla terra brulla contro un tronco spezzato. È completamente nuda ed inerme, con il solo volto coperto da una mascherina che la protegge dall’aria soffocante e un velo abbandonato sulle cosce. Il suo corpo pare come rassegnato a quella realtà cupa, ma i suoi occhi guardano lontano, oltre il filo spinato. Con una mano si copre timidamente il seno, simbolo di maternità, come a voler preservare il suo bimbo, non ancora nato, dall’indifferenza imperante. Con l’altra si protende verso il cielo che si colora di azzurro brillante, tinto dalle mille speranze delle mamme che volano alte come farfalle. Al di là del filo spinato, la terra rifiorisce, l’erba torna a crescere rigogliosa, la realtà riprende colore, persino l’aria pare profumare di serenità. Così il mondo può essere diverso e può essere migliore. Perché basta l’amore di una mamma a rischiarare il buio. Basta l’amore di una mamma a far riscoprire il miracolo della vita.

Cartoline dal mondo: testimonianza di realtà vicine o lontane, che fanno scalpore o che sono soltanto sussurrate per le vie del paese. Sono le immagini di un anno segnato da eventi eclatanti, come il disastro provocato dalla grande onda dello Tsunami, il passaggio dall’amato Papa Giovanni Paolo II all’attuale Papa Benedetto XVI, gli attacchi terroristici a Londra e in Egitto. E in mezzo a questo panorama di eventi mondiali, compare anche il nuovo volto del logo della Kruzeta, un cambiamento insignificante se paragonato a quelli che lo circondano, ma che, nel suo piccolo, ha sicuramente lasciato traccio di sè in noi contradaioli.
Di fronte a tutto ciò, un bimbo rimane attonito e mentre guarda il modno con i suoi occhi ingenui ed innocenti, immagina e costruisce il suo castello fatato, un futuro fatto di purezza e pace, stringendo tra le mani i fili di Natale, festa cristiana di nuova vita. La speranza di pace vola alta sulle ali delle colombe bianche, che avvolgono l’abbraccio tra i due Papi. E forse proprio una frase di Papa Wojtyla cade a pennello su quest’anno e per questo murales: ”Non c’è speranza senza paura, ma nemmeno paura senza speranza”.
“Piazza Burgaria”
Con questa rappresentazione si è voluta evidenziare la trasformazione che la piazza ha avuto nei decenni (dal 1950 ad oggi) a livello architettonico, commerciale e di aggregazione. Intorno agli anni ’50 la piazza era delimitata
da caseggiati, all’interno di uno dei quali era inserito il negozio della “Marietta” dove si vendeva frutta, verdura, dolci e il “sugo” (giuso) con il limone.
Nel periodo estivo, fuori dal negozio, veniva appoggiata su di un tavolo la “muschioa” che serviva per contenere l’anguria che veniva tagliata a fette da vendere. Per tenere al fresco l’anguria, venivano sistemati all’interno della “muschioa” dei pani di ghiaccio e foglie d’uva. Verso la fine del XX secolo la piazza ha subito una grande trasformazione. Sono stati abbattuti i caseggiati, alcuni dei quali poi ricostruiti, e si è creato lo spazio per una piazza aperta, della quale abbiamo voluto raffigurare uno scorcio.
Quella che noi abbiamo ricreato è la parte di piazza dove sono collocate fioriere e vasche che costituiscono una fontana a cascata e alle quali sono integrate alcune panchine spesso occupate dai giovani che si soffermano per parlare fra di loro, sentire musica e per mettere in mostra, magari, anche il nuovo scooter. Delimita la piazza, alle spalle, un caseggiato all’interno del quale è collocato un supermercato. Sul retro si è voluto evidenziare il contrasto tra l’impostazione del vecchio negozio: molto semplice con prodotti essenziali e poveri; e la nuova proposta commerciale, offerta dal supermercato, che propone prodotti di ogni genere e provenienza, in modo accattivante.

“… I bambi giocano alla guerra. È raro che giochino alla pace, perché da sempre gli adulti fanno la guerra. Il bambino fa “pum” e ride; il soldato spara e un altro uomo non ride più. È la guerra.” Ma i bambini, nella loro innocenza e ingenuità, hanno capito che ci sono altri giochi da inventare; hanno compreso che un gioco per essere tale, deve portare allegria e non fare del male. Ecco, allora, ritratti cinque bambini intenti a divertirsi con un semplice pallone. Con il loro gioco così vero ed incontaminato, distruggono, pezzo per pezzo, il puzzle della guerra costruito dai grandi. Da qui, lo slogan “Noi pensiamo differente”. Dietro l’immagine di un mondo inquinato dalla guerra, i piccoli riscoprono un’atmosfera pura e briosa che torna a vivere, simboleggiata da un arcobaleno a colori, dalla scritta “pace” e da alcune farfalle bianche che rimarcano ulteriormente l’innocenza e la purezza dei bambini.

Due bambini sono ritratti in un’ideale unione che, solo a prima vista, è espressa attraverso un momento di gioco con un gatto sul balcone della casa di uno di loro. Allargando però lo sguardo sul resto del quadro, anche la prospettiva tra l’armonia tra i protagonisti si amplifica: essa viene infatti riflessa sul quieto cielo stellato in cui domina la luce pura di una luna silenziosa, ma in qualche modo complice. Forse è solo nel caso dei bambini, meno corrotti e più istintivamente vicini alla luna, che l’armonia con la natura si può verificare. Forse è più facile per loro interrogare ed avere risposte dalla luna: una volta cresciuti, sentiranno questo “astro” indifferente alla loro sorte, proprio come Leopardi esprimerà nel “Canto notturno…”, il cui incipit è riportato nel quadro. La balconata e il traliccio con il glicine, in una sorta di effetto cornice, sono state dipinte utilizzando l’aerografo e mascherine di schermatura, con l’intento di creare una finzione scenica di distacco tra le due realtà che sono invece ineluttabilmente legate tra di loro.

TITOLO: Il valore delle cose
TITOLO: Sogni e ricordi
METTERE IMMAGINE BELLA
TITOLO: Mercato globale
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TITOLO: La vita è adesso
TITOLO: Quale orizzonte
TITOLO: Album